martedì 4 agosto 2015

Turno di notte

Eccolo qua, lo sproloquio del turno di notte, quando nel casino silenzioso della mente si accavallano pensieri e stanchezza, ansie e nervosismo, paura e insoddisfazione latente.
Non ci si dovrebbe mai lamentare di questo o di quello, ma solo prendere esempio da chi stoicamente sopporta le peggiori angherie che la Vita sa offrire.
Ma siamo onesti... Con tutta la buona volontà, è difficile non focalizzarsi sulla propria vita, pur sentendoci stronzi e ipocriti, a volte non riesci a vedere davvero niente se non il tuo cerchio e quello che c'é dentro, soprattutto quando di cose da sistemare la società ne impone tante.
Il turno di notte di un lavoro che detesto al 99% , è il momento in cui, tutto si ingrandisce e cambia peso e, il più delle volte, aumenta anziché alleggerire.
Lo stipendio di questi tempi è una benedizione, ma quando, a tre settimane dal suo arrivo, fai due conti e sai di averlo già speso, ti girano veramente le palle. Ma mai abbastanza per mollare tutto e cercare di vivere diversamente altrove. Mi sento veramente una codarda.
Vuol dire che tutto sommato sto bene dove sto? Forse si. Tante cose mi rendono felice, sono sicuramente una privilegiata nella scala della qualita di vita mondiale, ma è cosi deplorevole sognare qualcosa di diverso?
È cosi meschino immaginarmi in un altro impiego, in un ambiente piu disteso, con mansioni piu consone alle mie attitudini e capacita, piu vicino alle mie passioni, o bisogna sempre e solo essere grati di avere un lavoro basta che sia, chinare la testa e stare zitti e godersi la tre stanze che stai abitando, poter pagare le bollette e fare la spesa?
Sono cose importanti, lo so e sono grata di farcela materialmente, quando torno a casa mi sento una regina, quando vedo il mio amore e le nostre cagnoline tocco il cielo con un dito,ma la pressione è tanta e ci sono giorni in cui non mi faccio paura, in cui mi trasformo in qualcuno che vorrei non esistesse.
Anche questo è importante. Se avessi un figlio, lo vorrei prima di tutto sereno.

Chissà se questo mondo è destinato a dimenticare la gioia?!


domenica 21 giugno 2015

Amare. Punto.



Sono nata 35 anni fa in una famiglia composta di 5 persone: padre, madre, io, mio fratello e mia sorella.
In casa non si sono MAI e dico MAI fatti discorsi discriminatori riguardo a minoranze d’ogni sorta, eccezion fatta per quelle dedite a crimini aberranti universalmente riconosciuti.
L’amore per lo stesso sesso non è mai stato nominato, né negativamente né positivamente, come non è mai stato nominato né promosso quello eterosessuale, semplicemente perché non c’era nulla da dire.
Sono figlia di un matrimonio felice, figlia di due genitori che si sono sempre scambiati affetto davanti a noi e lo fanno tutt’oggi che, fortunatamente, vivono il loro 36° anno insieme da sposati (da non sposati ne contano qualcuno in più).
Ho fatto il catechismo e preso tutti i sacramenti, perché negli anni ’80 in Italia era anche abitudine farlo e ricordo distintamente l’unica bambina della mia classe i cui genitori erano di un’altra religione, guardata come un’appestata, perché incomprensibilmente lontana da un qualcosa che si DOVEVA fare.
 Capisco la scelta dei miei genitori di anteporre la mia infantile felicità nel poter seguire le tappe “normali” delle mie amichette, lasciandomi percorrere quel sentiero battuto da generazioni di pseudo cattolici e sedicenti cristiani. 
Capisco la loro reticenza e il loro dubbio su cosa sarebbe stato più giusto per me, per non farmi sentire troppo sola.
 Non li giudico male per aver scelto così.
  Non c’è il manuale del perfetto genitore, nessuno sa come andrà, e trovo lodevole il tentativo fatto sperando che sia il meglio.
Del catechismo ho bei ricordi ma anche brutti, i brutti per fortuna non riguardano le spesso menzionate violenze fisiche, ma atteggiamenti discriminatori verso tutto quel diverso che, seppur parte integrante dell’unità che eravamo portati a imparare, veniva allontanato come MALE senza tante spiegazioni. 
Così bene , così male. 
La diversità era un male, non era un colore in più che dava varietà al cosiddetto BENE. Non c’era cromìa oltre al bianco e al nero. Un arcobaleno tristissimo.
E poi quei passi, sempre quelli, letti e riletti e io che mi chiedevo possibile che in fin dei conti la Bibbia sia costata così tanta fatica per raccontare così pochi episodi e soprattutto così inverosimili. Inverosimili non tanto per la grandiosità degli eventi, ma per la discordanza tra essi e la pratica che al catechismo ci veniva inculcata, ama chi ti dico io in questo modo e gli altri in un altro modo. Eppure sono quasi certa di ricordare che Gesù dicesse AMA. Punto.
In casa mia, si è sempre amato. Punto. Meno male! Ripunto!
Questo continuo bene/male della società mi destabilizzò così tanto che, quando fu il momento di parlare a me stessa e chiarire chi e cosa mi piacesse, fui presa da una disperazione tale, da un volermi conformare a tutti i costi a questi canoni che per poco non persi il senno. Per fortuna riuscii a fidarmi della mia FAMIGLIA e del loro amore incondizionato per me e per tutto quello che portavo nel cuore.
Per fortuna ho avuto questa famiglia, la quale vorrei contribuire a continuare, per un semplice e sano e normalissimo desiderio umano di procreazione e senso di accudire e amare la prole, quel senso che snaturializziamo tentando di spiegarlo in mille parole, che gli animali risolvono con uno sguardo languido e una leccatina.
Perché volete dei figli? Perché siete marito e moglie? No, perché sentite di VOLERE creare una famiglia, perché avete una naturale propensione alla procreazione e alla cura dei vostri piccoli, perché perché perché siamo esseri umani e sappiamo amare e capire e se non continueremo a capire, fomenteremo solo odio e disprezzo e sentimenti negativi e ci autodistruggeremo.
Amare  non è male. 
Amare un’altra persona consenziente che ti ama a sua volta, è uguale per tutti.
E’ guardarla la mattina appena sveglia e fare piano per non rubarle gli ultimi dieci minuti prima della sveglia, preparare il caffè e tornare a chiamarla con un bacino, è sperare che abbia una buona giornata al lavoro, pensare già a cosa fare per cena, scoprire che danno quel film che volevate vedere proprio nel cinema che vi piace, non vedere l’ora di rivederla per stare insieme la sera sul divano, emozionarsi ogni volta che vedete un cuore disegnato su un muro, sorridere da soli per niente, e invece è tutto.
Ci amiamo tutti così, siamo esseri umani. 
Cosa c’è che non va? 
Cosa c’è di sbagliato se insegno a mio figlio a rispettare tutti e a vivere come si sente, nel rispetto della vita altrui?
Il rispetto della vita vuol dire rispettare il vivere e non agognare il morire, rispettare chi rispetta la vita e non tifare per chi rispetta solo la morte e la violenza.
Questo vorrei per i miei figli.
 Questo spero per tutti i figli, in qualsiasi famiglia essi nascano e crescano.
Che si insegni loro la filosofia dell’amore, quell’amore puro che qualcuno cercò di insegnare e che troppo spesso viene strumentalizzato e rinchiuso a piacimento in questo o quel disegno.

Se non impareremo ad amarci, saremo destinati al fallimento.


martedì 3 febbraio 2015

Conoscere la Storia, non fa ridere

Questa mattina del 3 Febbraio 2015, si è svolta la commemorazione dei quattro giovani partigiani uccisi per rappresaglia all’angolo tra via Porta Brennone e corso G. Garibaldi, qui a Reggio Emilia, una fredda mattina di 70 anni fa.
E’ una pagina di storia poco conosciuta, come tante altre che non balzano al clamore delle cronache per vari motivi, spesso legati al numero delle vittime, in questo caso “soltanto” quattro.
E’ una pagina di storia poco conosciuta anche perché a troppa gente la storia altrui interessa ben poco, lo raccontano le cronache, lo vediamo giorno dopo giorno, ne siamo noi stessi attori e vittime.
Questa mattina, come ogni anno, il Comune di Reggio Emilia ha organizzato una commemorazione che ha raccolto attorno a sé un esiguo, ma interessato, gruppo di partecipanti e che è terminata con la deposizione di una corona sulla lapide commemorativa ivi presente.
 Lapide che, sono certa, pochi cittadini abbiano mai scorso al di sopra dei loro nasi, poiché collocata a diversi metri da terra.  
Quei quattro ragazzi, il più grande dei quali aveva 28 anni, subirono torture lunghe, atroci, infernali, lontane anni luce dall’odierna concezione di “punizione”, ormai e per fortuna relegata all’ambito delle marachelle infantili.
Stamani, un gruppo di giovani uomini, un po’ più grandi dei quattro partigiani uccisi, ha assistito allo “spettacolo” consumando caffè e sigarette nel bar di fronte, nella sacrosanta pausa lavoro ed ha avuto, come ogni altra persona presente in quel momento, l’opportunità di ascoltare il racconto della tragica vicenda, narrata con giusta dovizia di particolari, la cui lettura è stata messa in risalto dall’utilizzo di microfono ed altoparlante.
Al termine dell’atroce racconto, giunti al momento della deposizione della corona sulla lapide, uno di questi giovani uomini d’oggi, con sorriso beffardo, si è lasciato sfuggire una frase eloquente, un “pure una corona!” con tanto di scossa del capo.
Avrei voluto domandare a questo uomo, a questo ragazzo, perché oggi si dice ragazzi anche a chi ha già passato i 40, quale parte di tutta la cerimonia l’avesse rallegrato al punto da pronunciare, evidentemente divertito e al contempo contrariato, questa frase a voce alta e col sorriso; cosa avesse capito di tutta la faccenda; con chi se la fosse presa; col solito dannato Comune che SPRECA i NOSTRI SOLDI con una stupida e vuota corona commemorativa?
 Non capita di rado di vedere e udire frasi o atteggiamenti di scherno gratuiti, quando si incontrano uniformi, fasce tricolori e, in genere, simboli governativi.
Stamani erano presenti quattro Gonfaloni, relativi uomini della Polizia Municipale e Provinciale intenti a reggere gli stessi e qualche rappresentante dell’Ente, con fascia tricolore indosso. 
Forse questo gruppo di “simboli del potere” ha disturbato la pausa lavoro di questo signore infastidendolo al punto da schernire il gesto finale?
Siamo troppo istruiti oggi, da abili pennivendoli di regime, ad odiare le istituzioni tutte, a non interessarci, a scagliare la pietra in quel mucchio in cui tutti sono colpevoli e meritevoli del nostro sdegno. Riempiamo pagine e pagine di social network di offese e ingiurie, di malcontento e maledizioni, e ci sentiamo, così, legittimamente partecipi della Cosa pubblica.
Beh, non è proprio così che si partecipa. 
A mio modesto parere. 
Se vittime siamo, lo siamo prima di tutto della nostra noncuranza verso quelle istituzioni che lasciamo libere di agire, di fare e disfare.
Quando incontriamo una qualsiasi divisa, fosse anche quella della banda del paese, ecco che ci sentiamo finalmente in diritto di vomitare tutto il nostro sdegno, tutte le nostre frustrazioni, tutto quello che ci angustia e che speriamo sia la madre Patria a sanare.
Questo si è evinto dall’infelice commento del giovane uomo di stamani. Un commento tristemente fuori luogo, un commento figlio di ignoranza e pressapochismo.
Caro signore, proprio stamani, il nostro Comune stava facendo una cosa giusta. Stava ricordando quattro ragazzini morti per tutti noi. Morti sperando che crescessimo e vivessimo diversamente da loro.
Avrei voluto spiegargli che anche grazie al sacrificio di questi ragazzi, che non hanno neanche lontanamente raggiunto la sua età, ogni giorno persone come me e come lui, possono permettersi la libertà di uscire di casa sorridenti, di camminare per le strade a testa alta, di godersi una pausa caffè, di fare tutte le cose che facciamo quotidianamente e che diamo per scontate, fosse anche un lavoro poco soddisfacente e faticoso. Sicuramente non è un lavoro forzato eseguito con la punta del fucile puntata alla schiena.
Se stai leggendo, gentile ragazzo che ti sei sentito probabilmente derubato dei TUOI SOLDI, sappi che questa corona sono felice d’averla pagata anche coi MIEI, perché se oggi ho l’opportunità di vivere come vivo, e ti garantisco che non sto scrivendo da Beverly Hills, lo devo anche a questi ragazzini che si sono immolati e questi soldi spesi per una corona, sono una briciola se paragonati al loro e a tutti gli altri sacrifici che ci hanno portato alla liberazione dalla guerra.

Spero che il Comune di Reggio Emilia continui a ricordarci il sacrificio di questi concittadini oggi e per altri decenni a venire.